Il 2020 è un anno destinato a finire sui libri di storia. Sono innumerevoli le ripercussioni che la pandemia da Covid-19 ha avuto sulle nostre abitudini e sulle nostre economie, così come sono senza precedenti le misure che sono state messe in atto per tentare di contrastare la diffusione del virus.
Anche sui mercati finanziari ci ricorderemo a lungo del 2020, così come ci ricordiamo oggi di non più di alcuni anni degli ultimi cento?
Ci ricorderemo del 2020 così come ci ricordiamo oggi del 1929, del 2001 e del 2008?
Gli anni che abbiamo appena citato ed altri che invitiamo il lettore ad aggiungere mentalmente hanno tutti, ne siamo certi, un fattore comune: sono anni caratterizzati da performance sensibilmente negative in cui ad eventi negativi i mercati finanziari hanno reagito in modo negativo. Siamo sicuri che nessun lettore avrà ricordato il 1995, il 1997, il 2013 e il 2019, anni in cui l’indice S&P500 ha generato performance positive superiori al 30%.
Non è certo un caso che le persone ricordino più facilmente gli eventi negativi di quelli positivi generando nella propria mente statistiche non corrispondenti alla realtà; gli eventi negativi rimangono maggiormente impressi nella nostra memoria e tendiamo quindi a ricordarli più facilmente.
Detto questo, il 2020 è stato l’anno negativo che tutti ci saremmo aspettati soltanto qualche mese fa?
A fine novembre i rendimenti dei mercati azionari mondiali presentavano risultati tutt’altro che catastrofici: gli indici azionari Usa, Giapponesi e dei mercati emergenti erano positivi, mentre quelli europei, salvo alcune eccezioni, solo di poco negativi. Anche le performance delle gestioni private non erano male, molte addirittura positive. Tra un decennio ricorderemo quindi il 2020 insieme agli altri anni sopra citati? Crediamo proprio di no.
"In SWM amiamo andare in profondità senza limitarci a ricordare gli anni per la semplice performance di fine anno. A nostro avviso il 2020 sembra essere un anno in grado di dare preziose informazioni per gli anni a venire, alla luce anche di due importanti “novità” emerse nel mese di novembre e che avranno un forte impatto nel medio lungo periodo: la vittoria di Biden alle elezioni presidenziali Usa e l’annuncio di non uno, ma di più vaccini contro il Covid-19."
Nel 2020 i timori generati dalla pandemia hanno favorito notevolmente i titoli “Growth” rispetto a quelli “Value“. L’indice Nasdaq100 a fine ottobre 2020 aveva generato un ritorno assoluto del 27.50% contro un rendimento negativo del 5.40% dell’indice Dow Jones. Il rapporto tra questi due indici ha raggiunto nel 2020 valori record, analoghi a quelli visti nel 2000, quando scoppiò la bolla della “New Economy”.
Negli ultimi anni la politica estera di Trump, piuttosto aggressiva nei confronti del resto del mondo, e la ricerca di titoli “Growth”, hanno avuto la naturale conseguenza di favorire gli indici Usa rispetto agli altri. L’indice S&P500 a fine ottobre 2020 aveva generato un ritorno assoluto del 2.80% contro un rendimento negativo del 15.60% dell’indice europeo Stoxx600. Uno squilibrio che alla luce delle due “novità” di novembre sembra essere ora eccessivo.
Nel 2020 gli indici azionari cinesi hanno generato una performance positiva di oltre il 20% riportandosi sui livelli più alti degli ultimi 13 anni, ma ancora inferiori a quelli del 2007 e pertanto su prezzi tutt’altro che record, se pensiamo a quanto è cresciuta l’economia cinese nell’ultimo decennio.
Il ciclo Usa persiste dal 2009 ed è stato in qualche modo prolungato da Trump con una poderosa politica fiscale espansiva e con manovre protezionistiche, queste ultime non proprio in linea con il pensiero del nuovo presidente Biden. Nel 2020 la frenata delle Borse dovuta al Covid-19 è stata realizzata grazie, oltre alla già citata forte presenza di titoli “Growth”, ad “helicopter money“ di dimensioni senza precedenti e alla FED che ha riportato i tassi a zero. Nei prossimi anni difficilmente la banca centrale Usa si potrà trovare nella condizione di poterli alzare; ci ha provato nel 2018, ma sappiamo bene tutti la reazione che hanno avuto i mercati al minimo segnale di rallentamento dell’economia e che ha poi costretto la FED a cambiare rotta dal 2019.
Il cambio Eur/Usd viene spesso definito un cambio finanziario che tende a favorire la valuta che paga meglio; con i tassi a zero la FED ha bruscamente ridotto il vantaggio che la valuta Usa aveva su quella Europea; inoltre il cambio sembra voler uscire dal canale ribassista di lungo termine in cui si è mosso con una certa precisione dal 2008. L’Oro, cavalcando la debolezza del Usd e il suo ruolo di bene rifugio, ha generato nel 2020 una performance superiore al 20% raggiungendo e superando i massimi del 2011 intorno a Usd 2000, un livello che sembra destinato ad essere abbondantemente superato, viste le prospettive che abbiamo su tassi Usa e Usd.
Joe Biden, con la disoccupazione a livelli ancora molto elevati e con un’economia in ripresa ma di fatto ancora in recessione, riuscirà a prolungare ancora il ciclo?
Basterà il costo del denaro prossimo allo zero per costringere i grandi investitori istituzionali ad investire e perciò a finanziare la loro futura e futuribile crescita sull’azionario tecnologico e robotico? O sarà forse più probabile che i capitali occidentali alla ricerca di rendimento cominceranno a confluire seriamente in Cina, la quale è ormai destinata ad affermarsi nel corso dei prossimi anni come prima potenza mondiale?
"In SWM, sia per la nostra clientela privata che ci affida i propri capitali, sia per i fondi di investimento che gestiamo, siamo certi che il 2020 sarà un anno chiave per poter affrontare i prossimi con successo. Con umiltà, ma anche con coraggio bisogna domandarsi se ciò che ha funzionato negli ultimi dieci anni potrà ancora funzionare nei prossimi dieci, specialmente in un contesto che potrebbe rimanere recessivo nelle economie occidentali.
Per queste ragioni, ed in particolare per i fondi CB-Accent Explorer Equity ed Explorer Fund of Funds, stiamo costruendo portafogli in grado di affrontare le sfide future che a nostro avviso non potranno esulare dall’avere in portafoglio più Cina, più mercati emergenti, più Europa, più “Value”, più Oro, meno Usa, meno “Growth” e meno Usd di quanto fatto negli ultimi anni."
Contributo a cura di
Alessandro Angeli – Head of Asset Management