
L’European Green Deal, annunciato dalla Commissione von der Leyen, che si prefigge l’obiettivo primario della neutralità carbonica dell’intera Unione Europea entro il 2050, è l’esempio più evidente degli impegni dei legislatori nell’accelerare la transizione verso un’economia sostenibile e a basse emissioni carboniche.
Sebbene questo ambizioso piano della Commissione Europea sia ancora privo di dettagli concreti, avrà sostanziali impatti sull’economia dei prossimi cinque anni.
Il primo passo del Green Deal è la strutturazione di un efficace sistema di carbon pricing, la cui attuazione è prevista per il 2021, predisposto ampliando il focus dei regolatori europei, al di là dei settori tradizionalmente considerati inquinanti quali la produzione di energia e l’industria, alle emissioni legate alla produzione e al trasporto dei prodotti importati, stante il continuo aumento delle emissioni carboniche a livello globale.
Il passo successivo è la proposta della prima European Climate Law, prevista per il prossimo Marzo, che si pone come obiettivo finale il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, fissando al 2030 obiettivi di decarbonizzazione più ambiziosi e stringenti degli attuali, che prevedono una riduzione delle emissioni del 40% rispetto ai livelli osservati nel 1990, aumentandoli ad almeno il 50-55%.
Per adeguare questi obiettivi è prevista, a Giugno 2021, una profonda revisione di tutte le policy comunitarie climate-related, proponendo l’estensione degli European Emissions Trading Schemes (EU ETS) dagli attuali settori (produzione energetica, industria pesante, aviazione commerciale) ad altri settori quali i trasporti marittimi e su strada, le costruzioni e l’agricoltura.
L’European Climate Law ha l’obiettivo di promuovere l’economia circolare tramite iniziative di miglioramento tecnologico e sostenibilità ambientale, fra le quali spicca la strategia “Farm-to-Fork” che si pone l’obiettivo di creare uno standard globale di sostenibilità nel settore agroalimentare.
Il Green Deal ha riportato in auge due concetti, fra di loro interconnessi, di fondamentale importanza nel prossimo futuro: il carbon leakage e il carbon border adjustment.

Il carbon leakage è il rischio che le società spostino all’estero le proprie produzioni, in modo da evitare i costi relativi ai sistemi di carbon pricing, rilocalizzando le emissioni di carbonio. La Commissione Europea ha cercato di ridurre questo rischio per quei settori maggiormente inquinanti garantendo loro una quota maggiore di emissioni a titolo gratuito, innescando di conseguenza la riduzione degli incentivi agli investimenti in tecnologie a basse emissioni.
Pertanto, durante la prossima fase degli EU Emissions Trading Schemes (2021-2030), la Commissione Europea cercherà di conseguire gli ambiziosi obiettivi di miglioramento climatico riducendo, da un lato, i permessi globalmente utilizzabili e, dall’altro, aumentandoli per i settori più soggetti al fenomeno del carbon leakage.
Ad oggi, la World Bank rileva 51 diversi sistemi di carbon pricing a livello globale e l’insuccesso di COP25 nel giungere ad un accordo per unificare i meccanismi di carbon pricing dimostra l’utopia di tale concetto e lascia la porta aperta a fenomeni di carbon leakage, stanti i diversi regimi di carbon pricing.
In risposta, 3500 economisti (fra i quali premi Nobel ed ex presidenti della FED) hanno recentemente elaborato “The Economists’ Statement on Carbon Dividends” che, scongiurando perdite di competitività, propone essenzialmente un sistema di carbon border adjustment composto da una carbon tax nazionale, volta ad incentivare il finanziamento di tecnologie a basse emissioni, controbilanciata da una green border tax, che equiparerebbe la regolamentazione delle produzioni domestiche con quelle dei prodotti importati e che sarebbe improntata sull’essere una misura temporanea, finalizzata a favorire lo sviluppo e l’adozione di tecnologie a basse emissioni.
Le tensioni sociali degli ultimi mesi in Francia hanno mostrato come tasse “eco-based” possono provocare malcontento socio-politico, palesando la necessità di neutralizzare l’impatto punitivo delle Green Taxes tramite redistribuzione, sotto forma di sgravi fiscali, dei fondi incassati, come già sperimentato dalla provincia canadese della British Columbia.
Analisti e portfolio managers dovranno monitorare in maniera più rigorosa il Green Deal e le implicazioni conseguenti per aggiornare conformemente le valutazioni delle società e delle relative attività. Con il supporto delle indicazioni del TCFD (Task Force on Climate-related Financial Disclosures), del quale DPAM è sostenitore dal 2018, il nostro investment team integrerà le indicazioni in una metodologia, attiva e improntata alla ricerca, che assicuri ritorni sostenibili.
Contributo a cura di:
Ophélie Mortier - Responsible Investment Strategist di DPAM
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