17/10/2023

La Financière dell'Echiquier: inflazione USA, decretato il KO?

"La guerra contro l'inflazione è finita. Abbiamo vinto, a un costo molto basso". I commenti su X (ex Twitter) del Nobel per l’economia 2008, Paul Krugman, dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione statunitense di settembre hanno scatenato un fiume di critiche, un fenomeno del resto comune sui social media. Ma questo suo cantar vittoria potrebbe sembrare prematuro. 

Una misura dell'inflazione senza tener conto dell'aumento dei prezzi? Il suo tweet era corredato da un grafico con una misura dell'inflazione calcolata su un perimetro ristretto, lontano dal paniere medio di una famiglia americana. Escludendo i prodotti alimentari, l'energia, gli alloggi e i veicoli di seconda mano, il paniere di beni e servizi riduce di quasi 2/3 il perimetro della misura tradizionale dell'inflazione al consumo. Per giunta, il periodo di osservazione di 6 mesi annualizzato fa sì che il risultato sia ancora più lusinghiero, portando la misura del rialzo dei prezzi ad appena l'1,9%. In altri termini sono inclusi i soli fattori che contribuiscono alla misura complessiva dell'inflazione, che stanno attualmente rallentando più rapidamente. A settembre, infatti, gli alloggi, l'energia e i prodotti alimentari sono stati i principali responsabili dell'aumento dei prezzi durante l'ultimo mese e l'ultimo anno. 

È vero che l'inflazione totale e la sua misura meno volatile, che esclude l'energia e l’alimentazione, stanno arretrando da diversi mesi ormai ma la battaglia è tutt’altro che vinta. Questi livelli di inflazione sono ancora ben al di sopra dell'obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve (Fed) statunitense. Del resto, i membri della Fed, che di recente hanno comunicato parecchio, ben si sono guardati dal prevedere dei tagli dei tassi nei prossimi mesi o trimestri, segno che l'analisi di Paul Krugman è tutt'altro che condivisa da coloro che vigilano sui tassi d’interesse. 

Sembra invece più realistica la sua seconda frase, "Abbiamo vinto, a un costo molto basso". La Fed ha appena attuato la stretta monetaria più veloce degli ultimi 40 anni, con dei danni collaterali finora omeopatici. E se la traiettoria futura non emerge chiaramente dalla lettura degli ultimi sondaggi sul mercato del lavoro, gli Stati Uniti continuano a registrare una situazione di piena occupazione. Anche la crescita economica ha retto bene. Attesa oggi al + 2,1% nel 2023, sostenuta da consumi resilienti e dalle ingenti spese di bilancio, è stata costantemente rivista al rialzo dall’inizio dell’anno. Infine, i mercati finanziari hanno superato questa stretta senza troppi scossoni, nonostante l'inasprimento in atto delle condizioni finanziarie. 

Affermare che la guerra contro l'inflazione sia già stata vinta sembra prematuro come insegna la storia economica. Gli ultimi episodi di febbre inflazionistica di questa portata risalgono agli anni Sessanta e Settanta. Ogni scossa d'inflazione è stata seguita da una scossa di assestamento, che ha costretto la Fed a inasprire nuovamente la politica monetaria, provocando un netto rallentamento dell'economia o addirittura una recessione, e a volte un radicale inasprimento della politica monetaria verso tassi vicini al 20%, e superiori quasi del 10% rispetto al tasso d'inflazione registrato in certi periodi! 

La guerra contro l'inflazione è una guerra di logoramento che si svolge a lungo termine. Abbandonare il campo di battaglia e rivendicare la vittoria troppo presto può avere delle ripercussioni devastanti. Speriamo che i membri della Fed ne siano ben consapevoli, a differenza di alcuni commentatori economici.

 


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